Oggi vorrei parlare di un tema molto importante nel campo della formazione: l’intelligenza emotiva. Essa può essere considerata una parte fondamentale dell’intelligenza, ovvero contribuisce alla ricerca della felicità e alla capacità di adattamento delle persone al proprio ambiente. Con il termine “intelligenza emotiva” si fa riferimento alla capacità di controllare ed esprimere le proprie emozioni, ma anche di capire, interpretare e rispondere a quelle altrui. Un concetto molto delicato soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo oggi, dove siamo stati costretti a vivere le relazioni a distanza, a comunicare davanti ad uno schermo senza potersi nemmeno abbracciare. Oltre a questo, come abbiamo già visto, quando si parla di emozioni non è mai un tema semplice, poiché ognuno può interpretarle in maniera differente ed avere difficoltà ad esprimere determinati vissuti. Pensate però come possa essere un mondo in cui non riusciamo a capire se un nostro amico è felice, oppure triste o arrabbiato. Vi è mai capitato di sentirsi sopraffatti da un’emozione tanto da fare qualcosa di cui poi ci si è pentiti? L’intelligenza emotiva può essere un aiuto in queste situazioni sia come strumento di prevenzione, sia per fronteggiare questi momenti. Andiamo a vedere com’è nato questo concetto e cosa si può fare per ottimizzare queste capacità.
Il termine intelligenza emotiva risale agli anni 30’ del novecento, quando Edward Thorndike inizio a parlare di “intelligenza sociale” come la capacità delle persone di socializzare e costruire legami stabili con le persone o all’interno di un gruppo. Fino agli anni 60’, però, l’idea di intelligenza è sempre stata quella di una competenza unitaria, in grado di garantire all’uomo di adattarsi all’ambiente e perseguire degli obiettivi. Con gli anni 70’ con lo psicologo Howard Gardner inizia a farsi strada una nuova concezione di intelligenza; non più un unico fattore generale, ma più “intelligenze al plurale” (musicale, linguistica, corporea, spaziale e matematica). Negli anni successivi nasce il termine “intelligenza emotiva” con una prima definizione: “La capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni” (Salovey e Mayer 1990). Soltanto 5 anni dopo Daniel Goleman è arrivato ad una conclusione che ancora oggi è condivisa: “ È la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”. Alla sua base sarebbero state individuate due competenze ognuna con caratteristiche specifiche: da una parte le competenze personali, che comprendono la capacità di riconoscimento e gestione delle proprie emozioni (consapevolezza di se – padronanza di se) e la motivazione al perseguire gli obiettivi, dall’altra quelle sociali come la capacità di comprendere le emozioni altrui (empatia) e di creare dei legami forti e positivi (abilità sociali). In altre parole l’intelligenza emotiva si riferisce a competenze differenti, come empatia, motivazione, autocontrollo, logica, capacità di adattamento e di gestione delle proprie emozioni e di trovare e riuscire ad utilizzare i lati positivi di ogni situazione cui si va incontro, le quali possono essere allenate e ottimizzate sempre di più grazie a percorsi specifici di formazione. Ad esempio un esercizio che si può svolgere anche in autonomia è quella del diario delle emozioni. Questo strumento permette di rispondere ad alcuni semplici quesiti che danno modo di ricostruire l’intero evento emotigeno (quale emozione, evento scatenante, reazioni, azioni messe in atto). Il diario, se compilato una volta al giorno per almeno un mese, dà la possibilità alla persona di diventare sempre più consapevole delle proprie emozioni e reazioni, ottimizzando allo stesso tempo i metodi di gestione di queste. Mi vorrei, però, focalizzare sulle nuove frontiere di fare formazione anche per quanto riguarda l’intelligenza emotiva; a questo proposito uno strumento che si sta diffondendo sempre di più è la realtà virtuale, grazie alla quale si possono svolgere training in ambienti controllati e dinamici abbassando le barriere della paura sui propri sentimenti, reazioni e del giudizio degli altri. Se ci spostiamo nel mondo della didattica, l’applicazione della realtà virtuale si basa sul percorso di Cooperative Learning (Apprendimento cooperativo): si tratta di percorsi di apprendimenti in piccoli gruppi, dove i ragazzi si trovano ad affrontare diversi compiti sfidanti che richiedono competenze diverse e collaborano insieme per raggiungere degli obiettivi comuni in un ambiente positivo.
Un esempio molto pratico sono le CROSSLesson che permettono di unire l’immersività e interattività della realtà virtuale con il rigore logico del Problem based Learning. L’acronimo CROSS fa riferimento alle 5 fasi del metodo didattico innovativo e alle capacità da sviluppare:
- Challenge: in questa prima fase viene posta una sfida ai ragazzi tramite la realtà virtuale (simulazione 3D di un esperimento scientifico, un tour virtuale, storico o geografico, un filmato VR) che ha l’obiettivo di stimolare la curiosità e la capacità di interrogarsi sui problemi e affrontarli in maniera positiva e leale;
- Research: questa seconda fase fa riferimento alla competenza di ricercare e selezionare informazioni da diverse fonti (libri, web, idee personali, ecc..);
- Operate: a questo punto i ragazzi possono dare sfogo alla loro creatività, spirito d’iniziativa e la loro inventiva per creare un artefatto virtuale;
- Say: questa è la fase di esposizione, dove i partecipanti hanno modo di allenare le proprie capacità comunicative, nel persuadere gli altri e convincerli riguardo le proprie idee;
- Share: nella parte conclusiva di condivisione e valutazione dei prodotti i ragazzi imparano ad essere disponibili nel condividere con gli altri le proprie soluzioni, a metterle in discussione, a rivederle, a valutare e ad essere valutati.
Dal nome stesso della metodologia del percorso formativo, l’apprendimento cooperativo mette l’individuo nella condizione di sviluppare, allenare e ottimizzare l’intelligenza emotiva nella rete di relazioni e nel compromesso sociale per il raggiungimento di obiettivi specifici.
Un altro esempio di applicazione di tecnologia al servizio della formazione in ambito affettivo è quello che sta facendo Vrainers utilizzando la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale. Il team ha lavorato per la costruzione di percorsi di apprendimento che prevedono ambientazioni virtuali costruite ad hoc, in cui la presenza di un avatar di sembianze umane permette di ricreare contesti sociali e di conseguenza lavorare sul riconoscimento e la gestione delle emozioni proprie e altrui. Infatti, l’avatar è in grado di relazionarsi con la persona in maniera empatica, proprio come tra due individui nella vita reale. Oltre a questo il fruitore del training avrà la possibilità di essere seguito individualmente da esperti di psicologia, intraprendendo un percorso di ottimizzazione delle proprie capacità comunicative, sociali e affettive, con obiettivo ultimo di una crescita personale e conseguente miglioramento della qualità della vita e benessere personale. Dunque Vrainers, attraverso le cosiddette tecnologie emotive, si pone l’obiettivo di favorire un apprendimento attivo e dinamico, in ottica di un miglioramento del benessere della persona e della sua qualità di vita.
Vorrei concludere dicendo che essere “emotivamente intelligenti” implica per prima essere consapevoli e accogliere le proprie emozioni, sia quelle piacevoli sia quelle spiacevoli. In secondo luogo questa capacità ci permette di dare senso e utilizzare in maniera costruttiva i nostri vissuti emotivi. In altre parole, non è la felicità, ma accettare tutte le emozioni dentro di noi, e saperle utilizzare per vivere al meglio la nostra vita significa essere “emotivamente intelligenti”. Daniel Goleman in effetti scrive questo: “Le persone competenti sul piano emozionale – quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente – si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo politico”.
Bibliografia e Sitografia:
Salovey P, Mayer JD. Emotional Intelligence. Imagination Cogn Pers 1990; 9: 185-211
Goleman D. (1999). Intelligenza emotiva. Che cos’è Perché può renderci felici. BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) Milano.
Goleman D. (2000). Lavorare con l’intelligenza emotiva. Come inventare un nuovo rapporto con il lavoro. BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) Milano.
Riva, G., Mantovani, F., Capideville, C. S., Preziosa, A., Morganti, F., Villani, D., et al. (2007). Affective interactions using virtual reality: the link between presence and emotions. CyberPsychology & Behavior, 10(1), 45e56.
Devon, A.; Adrian, V.M. Learning in virtual reality: Effects on performance, emotion and engagement. Res. Learn. Technol. 2018, 26.
Villani, D.; Riva, F.; Riva, G. New Technologies for relaxation: The role of presence. Int. J. Stress Manag. 2007, 14, 260–274
Autore articolo:
Francesco Palazzo
Psicologo del benessere e dello sport. Laureato in scienze e tecniche psicologiche presso l’Università degli studi L’Aquila. Specializzato in Psicologia del Benessere: empowerment, riabilitazione e tecnologie positive, presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Milano. Master in Psicologia dello sport. Specializzato sull’utilizzo delle Tecnologie Positive applicato ai diversi ambiti psicologici, conducendo uno studio sperimentale sul potenziamento cognitivo e del gesto tecnico-motorio su giovani tennisti agonisti tramite un training integrato di allenamento mentale e realtà virtuale.
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