L’innovazione tecnologica ha avuto un impatto notevole sulla società non soltanto a livello economico, ma anche a livello psicologico. Nello specifico, tutti noi ci siamo adattati, anche se in parte, agli innumerevoli cambiamenti che lo sviluppo tecnologico ha portato: sono cambiate le nostre abitudini di tutti i giorni, le nostre relazioni, i nostri modi di comunicare, il nostro modo di lavorare. Ma un aspetto a cui si fa poco riferimento, vuoi per poca conoscenza o per la sensibilità del tema, è l’impatto che hanno le tecnologie sulle nostre emozioni e com’è cambiato dai tempi più antichi sino ad oggi.
Per prima cosa è importante chiederci: che cos’è un’emozione? Con questa parola si intende un’attivazione fisiologica in relazione ad un determinato stimolo e avvenimento. Scherer definisce le emozioni come costrutti psicologici complessi costituiti da diverse componenti:
- Componente affettiva (valutazione della situazione)
- Componente fisiologica di attivazione (arousal)
- Componente motivazionale (fuga/avvicinamento)
- Componente espressivo/motoria (valore comunicativo)
- Componente soggettiva (vissuto dello stato affettivo)
L’aspetto di cui siamo certi è che le tecnologie hanno sempre suscitato in noi delle emozioni contrastanti sin dall’avvento della televisione, della radio insieme a tutti gli altri mass media: da una parte lo stupore e dall’altra la paura per qualcosa che non sempre è controllabile. Con l’arrivo del computer, ma soprattutto di internet, abbiamo assistito all’evoluzione del linguaggio, con conseguente cambiamento delle nostre modalità d’interazione e di comunicazione. Se pensate alla lingua dei simboli, è facile intuire quanto sia cambiata passando dalle pitture rupestri e i geroglifici, per poi arrivare al testo scritto e alle emoji. Queste ultime si trattano di una forma stilizzata delle nostre emozioni, tanto da essere ormai utilizzate per indicare il proprio stato d’animo. A questo punto una domanda sorge spontanea: le emoji possono influenzare le nostre emozioni? Una cosa di cui siamo certi, è che esse possono pilotare il modo con cui noi interpretiamo un messaggio a cui uno “smiley” è associato. Ciò che vorrei evidenziare è che cambiando il nostro modo di comunicare, di relazionarsi, cambiano anche le modalità di esteriorizzazione delle nostre emozioni e con esse anche la loro comprensione. Quello che lega le tecnologie con le emozioni è la teoria del Core Affect di James A. Russel, secondo cui è possibile modificare il core affect sia attraverso esperienze reali che la finzione. Per fare chiarezza, il core affect viene definito come “uno stato affettivo di base”, privo di un oggetto specifico: esso non coincide con l’emozione, ma si tratta di uno stato affettivo generale (ad esempio l’umore), che non è diretto a qualcosa. Nel momento in cui il core affect viene indirizzato ad un oggetto prende forma l’emozione, poiché essa non esiste senza una causa o qualcosa di specifico. È proprio in questa direzione che le nuove tecnologie si stanno muovendo: modificare il core affect, attribuendogli un oggetto, con l’obiettivo di indurre un’emozione. Dagli anni 90 in poi, sono stati svolti moltissimi studi in quest’ambito, i quali hanno portato alla costruzione di “macchine” in grado di riconoscere, modellare, esprimere informazioni emotive, dando vita ad un panorama di ricerche definito Affective Human Computer Interaction. Un esempio di applicazione di questo tipo è l’utilizzo della realtà virtuale per il trattamento delle fobie: all’interno di un ambiente virtuale totalmente controllato e protetto, si va a modificare lo stato affettivo di base assegnandogli un oggetto specifico (lo stimolo fobico), con l’obiettivo di indurre l’emozione ricercata e allenare la capacità di gestione e controllo emotiva della persona. Oltre a questo tipo di tecnologia, oggi si stanno diffondendo sempre di più modelli di intelligenza artificiale. Esempi di applicazioni sono la creazione di avatar in grado di interfacciarsi con la persona, riconoscendo le sue emozioni e interagendo con essa. Dunque possiamo dire che in ambito psicologico si inizia a parlare di vere e proprie “Tecnologie Emotive”, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone.
VRAINERS sta cercando di fare di più, attraverso l’integrazione di sistemi di intelligenza artificiale e realtà virtuale in grado di supportare aziende e privati nell’ottimizzare strategie di apprendimento. Si vuole andare oltre, cercando di creare dei training di realtà virtuale, con ambientazioni costruite ad hoc, i quali vengono guidati da un avatar in grado di relazionarsi con la persona in maniera empatica, proprio come tra due individui nella vita reale. Oltre a questo ognuno verrà seguito individualmente da esperti di psicologia, intraprendendo un percorso di ottimizzazione delle proprie capacità e di crescita personale, con conseguente miglioramento della qualità della vita. Dunque VRAINERS, attraverso le cosiddette tecnologie emotive, si pone l’obiettivo di favorire l’apprendimento attivo e dinamico, in ottica di un miglioramento del benessere della persona e della sua qualità di vita.
Bibliografia:
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Won, A. S., Bailenson, J. N., and Lanier, J. (2015b). Homuncular flexibility: the human ability to inhabit nonhuman avatars. Emerg. Trends Soc. Behav. Sci. doi:10.1002/9781118900772.etrds0165
Villani D., Grassi A., Riva G.(2011), Tecnologie Emotive: nuovi media per migliorare la qualità della vita e ridurre lo stress, Edizioni Universitarie di lettere Economia Diritto, Milano.
Autore articolo:
Francesco Palazzo
Laureato in scienze e tecniche psicologiche presso l’Università degli studi L’Aquila. Specializzato in Psicologia del Benessere: empowerment, riabilitazione e tecnologie positive, presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Milano. Master in Psicologia dello sport. Specializzato sull’utilizzo delle Tecnologie Positive applicato ai diversi ambiti psicologici, conducendo uno studio sperimentale sul potenziamento cognitivo e del gesto tecnico-motorio su giovani tennisti agonisti tramite un training integrato di allenamento mentale e realtà virtuale.
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