I cambiamenti dovuti alla continua evoluzione tecnologica hanno suscitato l’interesse sempre maggiore della psicologia, con l’obiettivo generale di capire le caratteristiche e gli effetti dei nuovi media sul comportamento individuale. In particolare, la ricerca si è focalizzata sulla relazione con questi strumenti, sulle modalità di comunicazione, le emozioni e molto altro, ponendo dunque l’attenzione su tutti quegli elementi che creano l’esperienza, l’interazione tra individuo e tecnologia. 

Un ruolo importante ed emergente in quest’ambito è affidato alla psicologia dei nuovi media, chiamata anche “ciberpsicologia” (cyberpsychology). Quest’area della psicologia è caratterizzata dalla multidisciplinarietà poiché si fondono in essa conoscenze derivanti dalla psicologia cognitiva, sociologia, psicologia della comunicazione ed ergonomia. L’obiettivo principale della psicologia dei nuovi media è “lo studio, la comprensione, la previsione e l’attivazione dei processi di cambiamento che hanno la loro principale origine nell’interazione con i nuovi media”. In riferimento all’esperienza, una delle conseguenze più innovative a cui ha portato lo sviluppo di questi nuovi media (Tessarolo, 2007) è la Disintermerdiazione: L’utente diventa “spettautore” creando e modificando i contenuti (Pulcini, 2006) e il “commentautore” discutendo e condividendo i contenuti (Riva, Pettiti e Uggé, 2007). Se torniamo ai giorni nostri, è ormai chiaro che le tecnologie sono diventate parte della nostra quotidianità; la quantità di ore che si passa a contatto con strumenti tecnologici è aumentata a dismisura negli ultimi anni a partire da età molto giovani. Nelle nostre società contemporanee questo è oggetto di preoccupazioni e di rappresentazioni negative. Infatti i nuovi media sono accusati di creare dipendenza, di raffreddare i rapporti umani, di innescare dinamiche sociali negative, di depotenziare processi di scrittura e lettura e, non ultimo, di impoverire i processi di apprendimento. D’altra parte, invece, si è sviluppata la necessità di indagare gli effetti positivi dell’uso della tecnologia, in modo da rendere evidenti le grandi potenzialità dei nuovi media sia a livello cognitivo, emotivo e sociale. È in questo senso che è nata la Tecnologia Positiva definita come “un approccio scientifico applicativo che usa la tecnologia per modificare le caratteristiche della nostra esperienza personale – strutturandola, aumentandola o sostituendola con ambienti sintetici – al fine di migliorare la sua qualità e aumentare il benessere in individui, organizzazioni e società” (Riva et al., 2012). Infatti diverse ricerche hanno portato alla conclusione secondo cui le nuove tecnologie possano favorire lo sviluppo e il benessere (Botella et al., 2012). Sempre secondo questi studiosi, la tecnologia positiva in ambito applicativo si suddivide in tre aree diverse: tecnologie edoniche, tecnologie eudaimoniche, tecnologie sociali/internpersonali. Le tecnologie edoniche sono il primo livello di tecnologie positive e sono quelle utilizzate per promuovere le emozioni positive, ad esempio le app che migliorano la gestione dello stress e favoriscono il rilassamento. Le tecnologie eudemoniche sono il secondo livello delle tecnologie positive e mettono gli individui in condizioni di realizzare esperienze coinvolgenti e autorealizzanti, ad esempio i serious game. Le tecnologie sociali/interpersonali sono il livello finale e vengono utilizzate con lo scopo di supportare e migliorare la connessione sociale tra individui, gruppi e organizzazioni: un esempio interessante è dato dall’utilizzo del social networking e pervasive computing per contribuire a ridurre la sensazione di isolamento sociale e la depressione nelle persone anziane (Morris, 2005). Passiamo ora a parlare dell’esperienza individuale mediata dalla realtà virtuale. 

Innanzitutto, è bene ricordare che quest’ultima in termini tecnici è un ambiente tridimensionale generato dal computer in cui il soggetto o i soggetti interagiscono tra loro e con l’ambiente come se fossero realmente al suo interno. In altre parole la VR è una tecnologia positiva che, grazie ad un visore, consente l’immersione in ambientazioni virtuali altamente realistiche, caratterizzate da coinvolgimento, interazione e partecipazione, all’interno delle quali l’utente diventa attivo creatore della propria esperienza. In quanto tecnologia positiva, la realtà virtuale poggia sulle tecnologie esperenziali, le quali, intervengono sull’esperienza, strutturandola e sostituendola, con l’obiettivo ultimo di intervenire sull’interazione. Infatti, attraverso le tecnologie positive “è possibile modificare un trend dell’interazione uomo-computer, rendendo l’interazione con i nuovi media il più possibile simile all’interazione come un ambiente reale” (Riva et al., 2012). L’aspetto fondamentale dell’esperienza VR è la possibilità di sperimentare il cosiddetto senso di presenza: la persona si sente dentro l’esperienza (being there) e, attraverso specifici comandi, può interagire con la scena in cui si trova. Dunque, “il soggetto non è più presente nell’ambiente reale in cui si trova ma si incarna in quello remoto o simulato dal computer” (Riva, 2012). La realtà virtuale si può distinguere, dal punto di vista pratico e tecnologico, in immersiva e non immersiva. Nel primo caso l’utente viene completamente isolato dall’ambiente esterno e viene trasportato nella realtà parallela riprodotta e in essa viene assorbito completamente grazie anche ad un insieme complesso di strumenti (un casco o sensori di posizione chiamati trackers). Nel secondo caso, invece, gli strumenti cambiano: il casco viene sostituito da un monitor. La conseguenza diretta è proprio l’esperienza vissuta dal fruitore che cambia nei due diversi contesti. In quest’ultimo, infatti, l’ambiente ricreato digitalmente ha un minore impatto emotivo sul soggetto che è all’interno dello stesso; è come se l’utente vedesse il mondo tridimensionale da una finestra. L’utente può interagire con la tecnologia attraverso uno strumento esterno (ad esempio un joystick, sperimentando un senso di presenza minore. Nel primo caso, invece, il movimento della testa o di altre parti del corpo corrisponde con ciò che succede all’interno dell’ambiente virtuale, dando la possibilità all’individuo di sperimentare  un senso di presenza maggiore, “quella sensazione di essere lì, nello spazio virtuale” (Steuer, 1992). Questo è proprio quello che ci dicono Lombard e Ditton (1997): il livello di presenza dipende dal grado di consapevolezza dell’utente riguardo le capacità mediatiche dello strumento tecnologico: più questa consapevolezza è alta, minore sarà la sensazione di presenza esperita e viceversa. In altre parole, non è fondamentale soltanto l’aspetto grafico, ma anche il grado d’interazione con la tecnologia stessa: “un ambiente simulato offre un elevato livello di presenza quando l’utente è in grado di navigare, scegliere, spostare e muovere gli oggetti intuitivamente” (Sastry e Boyd, 1998). 

VRAINERS utilizza proprio questo tipo di tecnologia, grazie alla quale si è in grado di strutturare un’esperienza coinvolgente ed immersiva, con l’obiettivo ultimo di aumentare il benessere e la qualità di vita del fruitore. Infatti, se da una parte il team utilizza la realtà virtuale con l’obiettivo principale di suscitare emozioni positive, dall’altra ci si sta muovendo in ottica di risultati più ampi, ovvero creare esperienze con alto grado di interattività, dando la possibilità al fruitore di sperimentarsi, mettersi in gioco, ottimizzare le proprie capacità. Nel primo caso un esempio è il progetto di Vrainers svolto per un giovane cantante emergente, per il quale è stato creato il videoclip del suo brano inedito attraverso telecamere a 360°. In questo modo, ognuno avrà la possibilità di visualizzare il video, sia attraverso lo smartphone (o tablet) in cui il movimento di quest’ultimo equivale allo spostamento dell’immagine, sia attraverso un visore di realtà virtuale. Nel secondo caso l’esperienza risulterà altamente immersiva rispetto al primo, dando la sensazione al fruitore “di essere in un mondo che esiste al di fuori di se stessi” (Riva et al., 2004). Questo è solo un esempio di quello che si può fare con la realtà virtuale. Vrainers sta ampliando sempre di più il proprio intervento in diversi ambiti, con la volontà di mantenere come filo conduttore quello della formazione e del benessere individuale. 

Vorrei concludere questo breve articolo con un’affermazione che sintetizza in una frase la realtà virtuale, e dunque quello che è stato esposto precedentemente: “uno strumento che permette una forma specifica di comunicazione e di presenza, poiché la persona vive l’esperienza di essere presente fisicamente in uno scenario virtuale ed interagisce con esso con sensazioni, emozioni e valutazioni proprie dell’interazione quotidiana col mondo” (Riva, 2007). 

Bibliografia

Botella C, Riva G, Gaggioli A, et al. The present and future of positive technologies. CyberPsychology, Behavior, and So- cial Networking 2012; 1:78–84

Riva G. (2012), Psicologia dei nuovi media, il Mulino, Bologna. 

Villani D., Riva G., Gaggioli A., Positive Technologies for enhancing wellbeing: intervention proposal 2015. 

Riva, G. (2005). Virtual reality in psychotherapy. Cyberpsychology & behavior, 8 (3), 220-230.

Larry Katz, James Parker, Hugh Tyreman, Gail Kopp, Richard Levy, Ernie Chang, Virtual reality in sport and wellness: promise and reality. Sport Technology Research Laboratory, University of Calgary. 

Riva, G., Mantovani, F. and Gaggioli, A. (2004a). Presnce and Rehabilitation: Toward second- generation virtual reality applications in neuropsychology, Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation 1 (9): 1–11.

Villani, D.; Riva, F.; Riva, G. New Technologies for relaxation: The role of presence. Int. J. Stress Manag. 2007, 14, 260–274.

Riva G., Banos R.M. , Botella C., Wiederhold B.K., Gaggioli A. (2012) Positive Technology: Using Interactive Technologies to Promote Positive Functioning. Cyberpsychology, behavior, and social networking Volume 15, Number 2, 2012.

Riva G, Mantovani F, Capideville CS, et al. Affective inter- actions using virtual reality: The link between presence and emotions. CyberPsychology & Behavior 2007; 

Autore articolo

Francesco Palazzo

Laureato in scienze e tecniche psicologiche presso l’Università degli studi L’Aquila. Specializzato in Psicologia del Benessere: empowerment, riabilitazione e tecnologie positive, presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Milano. Master in Psicologia dello sport. Specializzato sull’utilizzo delle Tecnologie Positive applicato ai diversi ambiti psicologici, conducendo uno studio sperimentale sul potenziamento cognitivo e del gesto tecnico-motorio su giovani tennisti agonisti tramite un training integrato di allenamento mentale e realtà virtuale. 

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