In questo breve scritto, faremo un passo indietro, concentrandoci sul ruolo dello psicologo in ambito sportivo, senza però tralasciare il tema a noi molto caro della tecnologia. “Nello sport, direi che non c’è niente come la formazione e la preparazione. Devi allenare tanto la mente quanto il tuo corpo” ha affermato Venus Williams, una delle migliori tenniste Americane di tutti i tempi. Partendo da quando enunciato dalla Williams, la psicologia dello sport cerca proprio di aumentare la consapevolezza riguardo ciò in atleti, tecnici e società; la preparazione di un atleta riguarda la parte tecnica dei movimenti, la tattica di gioco, la parte fisica e l’aspetto mentale. Per definirsi completo un atleta, deve allenare costantemente tutti e quattro questi ambiti, così da poter arrivare a livelli ottimali di performance. Oggi si sente sempre di più parlare di “mental training”, ma sappiamo davvero com’è nato e di cosa si tratta? Proviamo a scoprirlo insieme.

Il mental training nasce fondamentalmente dall’esigenza di gestire e migliorare le proprie prestazioni attraverso un insieme di tecniche indirizzate all’ottimizzazione di tutti quegli aspetti che ostacolano il migliore rendimento sportivo: emozioni, pensieri, stato di tensione associato alla performance e molto altro. Le parole Mental Training o Allenamento Mentale descrivono “l’applicazione delle tecniche psicologiche tese a migliorare le prestazioni sportive nell’ambito di un programma strutturato” (Cei, 2015). Ancora, si può definire come un allenamento psicologico formato da un insieme di tecniche e strategie che hanno la finalità di far acquisire e potenziare nell’atleta un corollario di abilità mentali e fisiche, che insieme all’usuale programma di allenamento, contribuiscono a migliorare la qualità delle prestazioni sportive del fruitore. L’aspetto univoco di tutto questo è che il programma del training mentale diventa personalizzato, individualizzato e specifico per l’atleta. Infatti, le diverse tecniche utilizzate vengono selezionate in base alla specificità singola della disciplina sportiva, agli obiettivi da raggiungere e al profilo personologico dell’atleta. Il programma di allenamento mentale considera l’atleta nella sua totalità, operando su tre livelli (cognitivo, emotivo e comportamentale), permettendogli di prendere coscienza delle proprie risorse mentali e imparare ad utilizzarle. Riguardo quest’ultimo aspetto infatti, lo psicologo dello sport si inserisce come una figura non intrusiva, con ottime capacità di ascolto e osservazione, mirando all’autoconsapevolezza e autonomia dell’atleta. La prima fa riferimento alla conoscenza di quanto i propri processi psicologici influenzano la prestazione in senso positivo o negativo; questo comporta l’uso di tutti i sensi, ovvero non basta vedere noi stessi eseguire un gesto atletico, ma bisogna imparare a sentire l’odore del terreno di gioco, assaporare il gusto della vittoria, provare la sensazione di impugnare una racchetta e sentire il rumore particolare provocato dell’impatto della pallina sulla racchetta. L’autonomia si riferisce all’acquisizione da parte dell’atleta di strumenti e tecniche con la possibilità di utilizzarli da solo nei momenti di necessità. In questo caso dunque l’obiettivo è far sì che la persona arrivi a padroneggiare se stesso e le tecniche apprese, diventando autonomo ed esperto di se stesso. Le tecniche principali di mental training e quelle più conosciute sono: il goal setting, il pensiero positivo e il self talk (o dialogo interiore), imagery (o visualizzazione mentale), tecniche di concentrazione e di rilassamento, allenamento ideomotorio e la propriocezione. E’ importante sapere che ognuna di queste procedure ha delle funzioni specifiche e possono essere utilizzate in sinergia tra loro così da rendere il l’allenamento più efficace. E’ chiaro che l’efficacia del processo di mental training dipende non soltanto dalla professionalità e competenza dello psicologo, ma anche dalla motivazione dell’atleta e variabili che molto spesso non sono controllabili. Se pensiamo, però, al periodo che stiamo vivendo oggi, pieno di restrizioni, la domanda sorge spontanea: com’è possibile garantire e mantenere l’efficacia di questi interventi anche a distanza? Ecco qui che entra in gioco la tecnologia. Cosa hanno in comune questi due campi di applicazione lo abbiamo già ampiamente detto negli articoli precedenti, ma mi vorrei soffermare su un aspetto specifico, che avvicina ulteriormente la realtà virtuale con la psicologia dello sport; tra gli anni 80’ e 90’ è stato scoperto un circuito di neuroni, chiamati “neuroni specchio” che si attivano nel nostro cervello quando svolgiamo un’azione e anche quando vediamo svolgere la stessa azione da altri. Per quanto riguarda l’acquisizione di nuove abilità, diversi studi hanno dimostrato che come le aree motorie si attivano nell’esecuzione di un movimento così si attivano anche quando il soggetto osserva quello stesso movimento eseguito da terzi. Voi vi chiederete cosa c’entra tutto questo con lo sport? Questa scoperta può fornire delle informazioni molto utili a chi si occupa di sport e si pone l’obiettivo di allenare delle abilità motorie: ci permette di migliorare le procedure motorie sottostanti il gesto. L’esistenza di un circuito di neuroni specchio può suggerirci una tipologia di allenamento mentale che trae spunto dalle neuroscienze e che, sfruttando le caratteristiche funzionali del nostro sistema motorio, può aiutarci a migliorare ed affinare specifiche abilità tecniche. Queste proprietà del sistema sensoriale-motorio sono alla base della visualizzazione e immaginazione, attivandosi a seguito dell’osservazione o al solo pensiero di azioni finalizzate complesse. Possiamo sintetizzare affermando che è come se il nostro cervello non distinguesse un movimento eseguito da un movimento osservato e/o immaginato. Questo procedimento sta alla base del concetto fondamentale della presenza nella realtà virtuale. Il livello di presenza dipende dal grado di consapevolezza dell’utente riguardo le capacità mediatiche dello strumento tecnologico: più questa consapevolezza è alta, minore sarà la sensazione di presenza esperita e viceversa (Lombard e Ditton, 1997). Questo porta ad un’intuizione che non va nella stessa direzione degli esperti di ambienti virtuali, ovvero all’idea che più una locazione remota è simile al reale e maggiore sarà il senso di presenza. Quest’ultimo può essere maggiormente indotta se viene data importanza alla capacità d’interazione, piuttosto che alla grafica, nella progettazione di un ambiente virtuale. Il concetto di presenza fa riferimento a tre contesti: fisico, sociale e personale. Si parla, infatti, di presenza del soggetto (personale) in uno spazio reale o virtuale (fisico) se riesce a mettere in atto le proprie intenzioni e riconoscere quelle degli altri (sociale). In riferimento a quest’ultimo aspetto, è stato individuato che nella pianificazione delle azioni e nella comprensione delle azioni compiute da altri sono implicati i neuroni specchio. Sono importanti perché permettono una comprensione dell’altro come te stesso; un individuo può capire l’emozione dell’altro, perché la vive, la sente, perché si attivano le stesse aree che si attivano quando io sento dolore oppure può capire in maniera razionale. Questo ci riporta direttamente al concetto di presenza sociale, definita come “la sensazione di essere con altri Sé all’interno di un ambiente virtuale o reale, risultato della capacità di riconoscere intuitivamente nell’ambiente le intenzioni degli altri (Riva et al., 2003, 2008). Questo circuito neuronale accomuna strettamente la realtà virtuale e l’allenamento mentale, rendendo ancora più evidente quanto l’una sia fondamentale per l’altro e viceversa. Oggi, in effetti come abbiamo già visto nell’articolo della settimana precedente, sono molte le realtà che si stanno sviluppando e diffondendo in grado di integrare questi due ambiti: dalle simulazioni dei percorsi o di scenari diversi, a training individuali o di gruppo con l’obiettivo di potenziare specifiche abilità mentali e/o motorie.

Il team di Vrainers si sta impegnando anche su questo fronte, integrando realtà virtuale e mental training; da una parte i tecnici si impegnano a creare delle ambientazioni virtuali il più vicino alla realtà con un alto grado di interattività, mentre dall’altra grazie al supporto dello Psicologo si lavo- ra sui contenuti specifici di queste ricostruzioni e ai programmi di allenamento mentale da poter creare parallelamente all’esperienza virtuale. In questo modo l’atleta sarà immerso in un progetto all’avanguardia in grado di integrare tradizione ed innovazione, con l’obiettivo di ottimizzare la performance e il benessere della persona. L’intenzione del team è quella di creare ambienti e allo stesso tempo programmi di allenamento così avvincenti, divertenti, trasparenti e facili da coinvolgere, che gli atleti di tutti i livelli li useranno per migliorare le proprie capacità mentali, la propria partecipazione allo sport, la performance e il proprio livello di benessere. Purtroppo, oggigiorno l’allenamento mentale viene ancora sottovalutato e trascurato. Molti sono i pregiudizi che ancora oggi la psicologia dello sport deve affrontare: l’allenamento delle abilità mentali non è necessario, la Psicologia dello sport serve ad aiutare atleti problematici. Allo stesso modo anche l’approccio verso la tecnologia non è ancora dei migliori, causa le poche conoscenze riguardo questi strumenti ed i pensieri riguardo la fiducia in questi mezzi innovativi. Come abbiamo visto, negli ultimi anni si sta muovendo qualcosa in Italia, anche se a mio avviso è ancora molto limitato ciò che si sta facendo. É bene ricordare che un atleta si può definire completo, deve allenare costantemente aspetti tecnici, tattici, fisici e anche quelli mentali. Inserire anche la preparazione mentale nel programma di allenamento è l’unico modo per arrivare a livelli ottimali di performance.

A questo proposito, concluderei evidenziando che già dai tempi più antichi esistevano problemi del genere, come afferma Seneca: “Penso tra me e me quanti sono gli uomini che esercitano il corpo e quanto pochi quelli che esercitano la mente; quanta gente accorre a un passatempo inconsistente e vano, e che deserto intorno alle scienze; che animo debole hanno quegli atleti di cui ammiriamo i muscoli e le spalle.” Vrainers vorrebbe proprio contribuire a limitare le paure di questo grande filosofo, ponendosi l’obiettivo di sensibilizzare gli sportivi a guardare alla sua preparazione a 360°, integrando corpo e mente, grazie alla costruzione di programmi di potenziamento cognitivo individualizzati supportati dalla tecnologia.

Bibliografia e Sitografia:

Nicolas Robin, Laurent Dominique, Lucette Toussaint, Yannick Blandin, Aymeric Guillot, et al.. Effects of

motor imagery training on service return accuracy in tennis: The role of imagery ability. International Journal

of Sport and Exercise Psychology, Taylor Francis (Routledge), 2007, 5 (2), pp.175-186.

Hanin, Yuri L. (1997). Emotions and athletic performance: Individual zones of optimal functioning model. European Yearbook of Sport Psychology, 1, 29-72.

Cei, A. (1987), Mental training, Edizioni Luigi Pozzi, Roma.

http://www.psicologiasportiva.it/psicosportiva/cosa.asp

Gaggioli A., Morganti L., Mondoni M., Antonietti A., Benefits of Combined Mental and Physical Training in Learning a Complex Motor Skill in Basketball Psychology 2013. Vol.4, No.9A2, 1-6.

Cei, A. (1998), Psicologia dello sport, il Mulino, Bologna.

Rizzolatti, G., & Craighero, L. (2004). The Mirror-neuron system. Annual Review of Neuroscience, 27, 169-192.

Craig, C. (2013). Understanding perception and action in sport: how can virtual reality.

Riva, G., Waterworth, J.A. and Waterworth, E.L. (2004b). The Layers of Presence: A bio-cultural approach to understanding presence in natural and mediated environments, CyberPsychology & Behavior 7 (4): 402– 416.

Autore articolo:

Francesco Palazzo

Laureato in scienze e tecniche psicologiche presso l’Università degli studi L’Aquila. Specializzato in Psicologia del Benessere: empowerment, riabilitazione e tecnologie positive, presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Milano. Master in Psicologia dello sport. Specializzato sull’utilizzo delle Tecnologie Positive applicato ai diversi ambiti psicologici, conducendo uno studio sperimentale sul potenziamento cognitivo e del gesto tecnico-motorio su giovani tennisti agonisti tramite un training integrato di allenamento mentale e realtà virtuale.

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